La misteriosa Ferrara si tinge di giallo il BLOG di Daniele Meschiari.
CAPITOLO NOVE
Casa Ferrari
Ore 12:20 sabato 31 maggio 2014
Presi, molto presto, coscienza di quello che avrei dovuto fare, senza perdere altro tempo prezioso. Accompagnai mia moglie al tavolo e sempre tenendola per mano la invitai a sedersi, per riflettere e parlare con calma, insieme e nonostante tutto, su come risolvere la situazione. La pregai di fare mente locale e di provare a ricordare ogni avvenimento, ogni cosa accaduta nel periodo trascorso con Zocchi e la Congrega. Tutta la storia, dall’inizio, senza trascurare nessun particolare, anche se la ritenesse la più insignificante delle informazioni che potesse darmi. Emma comprese subito l’importanza della mia richiesta, con un rapido gesto della mano estrasse il fazzoletto dalla tasca dei jeans e lo portò agli occhi ancora coperti di lacrime. Sfregò via, con forza, l’effetto liquido del suo dolore, si soffiò un paio di volte il naso e iniziò a parlare. «Tutto quello che può servire a salvare nostra figlia, va bene. Dovrai avere pazienza, però, molta pazienza, perché è una storia che parte da lontano. Sono sicura che, quello che ti dirò, servirà a farti comprendere, esattamente, con chi abbiamo a che fare. «Avevo solo cinque anni, da Ferrara ci trasferimmo a Milano con tutta la famiglia, perché a mio padre era stato offerto un buon lavoro, in una famosa ditta di elettrodomestici. A 17 anni studiavo al liceo classico, lo stesso che frequentava anche Piero Zocchi. Ricco, affascinante e di rispettata e antica discendenza ebrea. Il suo maggiore interesse era lo studio dell’astrologia e della storia medioevale e rinascimentale. Disgraziatamente era anche il mio hobby purtroppo. Come tu sai bene insegno qui a Ferrara e mi sono laureata proprio in queste materie. «Banalmente, me ne innamorai e appena dopo un anno, lo sposai. Lui, piano piano, cominciò a farmi apprezzare i suoi originali pensieri e le sue teorie sulle fedi alternative, introducendomi a quelle ossessive credenze sulle stelle e sulle sue leggende, tramandate da antichi filosofi greci. Mi affascinò, mi raccontò con sapienza storie fantastiche, in particolare sulla stella di Altair. «In breve tempo, radunò altri seguaci, discendenti da vittime innocenti dell’Inquisizione, che come lui avevano sete di giustizia e di vendetta per i propri ascendenti, bruciati nei roghi o impiccati come streghe e stregoni. Diventò sempre più un’idea fissa per lui e per tutti gli adepti della Congrega. «Il suo scopo era dimostrare le colpe della Chiesa, che tra l’altro aveva anche fatto giustiziare decine, forse centinaia di ebrei per impossessarsi dei loro beni materiali, con la falsa giustificazione di ideologie eretiche. Stesso trattamento, subito da questo popolo, nella Seconda guerra mondiale, questa volta furono i nazisti a inventarsi un pretesto razziale per eliminare milioni di giudei. «Una sera, Zocchi ci mostrò con orgoglio la prova di quanto asseriva da tempo. Vincenzo Maggi l’aveva recuperato nel 1567 dalla casa torinese di Nostradamus, dopo la sua morte. Il manoscritto originale del Sommo Poeta, intitolato Le False Verità. Erano tre appendici al cantico dell’Inferno. Due papi e altri illustri personaggi, realmente esistiti, venivano posizionati nel VI cerchio, quello degli eretici, a conferma delle loro malefatte.» «Le appendici di Dante sono in mano alla Congrega, non ci posso credere!» Ero stupito ed irritato. «Quindi, devo dedurre che Antonio Maggi, che era in possesso del documento tramandato dal suo avo, si unì a voi in quel periodo?» «Esattamente. Aveva saputo della nascita della Congrega dell’Aquila da un’amica, anche lei appassionata di storia del rinascimento e anche lei discendente da una strega bruciata viva. Serena Agostani, che allora era un semplice poliziotto, si era trasferita da Ferrara a Milano.» Non la lasciai finire, ero tremendamente infuriato e deluso, non riuscii a trattenermi dal gridare, con tutta la forza che avevo in corpo. «Lo sapevi? Sapevi anche questo? Conoscevi il nome della talpa che stavo cercando disperatamente e anche in questo caso non hai detto nulla? Io ho fatto di tutto per non coinvolgerti, mentre tu mi nascondevi un’informazione fondamentale. Questa tua tragica scelta è il motivo per cui, in questo momento, tua figlia, mia figlia è tenuta prigioniera in qualche posto segreto. Rischia la vita, stronza, per colpa tua! La Agostani, maledetta anche lei, ecco la nostra delatrice. Avevo qualche dubbio su di lei, anche se rifiutavo di credere fosse coinvolta in questa brutta storia. Una sporca spia, al posto giusto per eseguire il suo infido compito,» pensai a voce alta. L’unica nota positiva, in tutto questo, era l’estraneità della Marini nella vicenda. «So perfettamente che non riuscirai mai a perdonarmi di averti nascosto il mio passato, ma come hai detto tu, è utile per salvare Chiara che io continui a dirti tutto quello che ho visto e che ho fatto nella Congrega dell’Aquila,» replicò Emma, prese fiato e proseguì il suo racconto: «Quel documento, portato da Antonio Maggi alla nostra attenzione, convinse sempre di più Zocchi nell’esistenza di prove scritte, che testimoniano di una Chiesa colpevole di eresia e omicidi. Tutto questo sarebbe stato impresso a chiare lettere in un misterioso manoscritto, entrato in possesso di Dante e da cui avrebbe appreso le nefandezze poi riportate nelle appendici, da lui chiamate: “False Verità”. In seguito, venimmo anche in possesso di una lettera del Villanova che, prima di morire, riuscì a consegnarla a un nostro adepto del periodo, tale Francesco Gaione, impiccato per stregoneria e avo di un attuale figlio dell’Aquila. Sapevamo che il Villanova aveva letto il documento eretico originale e che le sue idee erano, in diretta polemica, contro l’organizzazione ecclesiastica, prospettando, nei suoi scritti, una riforma della Chiesa stessa. «La lettera, oltre a riferire dell’incontro di Dante con Pietro d’Abano e della consegna a quest’ultimo degli antichi fogli, rivela quale fosse la vera natura di quel manoscritto. Si trattava in realtà di un diario segreto, nel quale venivano siglati terribili accordi criminali tra un ordine di frati predicatori, comunità fondata, nei primi del 1200, e un altro ordine dei cosiddetti frati minori, ordine fondato alla fine del X secolo.» «Storicamente, questi due ordini ecclesiastici divennero famosi per ferocia ed efferatezza, infatti, nelle loro fila, si ritroveranno i più grandi inquisitori di quel periodo,» aggiunse del suo Emma, poi riprese a parlare della lettera. «Villanova faceva anche riferimento alle loro confessioni, complete, con dovizia di particolari che rivelavano, senza ombra di dubbio, il vero scopo della furiosa caccia agli eretici e alle presunte streghe: guadagnare soldi, potere, benefici e proprietà, nascondendosi dietro una fede con i suoi dogmi e le sue regole. Proseguiva la lettera dicendo che, a suffragare il tutto, vi era l’avallo e la firma in calce dei due papi del periodo, uno di seguito all’altro. Concludeva il suo scritto molto amareggiato, riferendo che quei fogli, avuti da Pietro d’Abano, contenevano qualcosa di ancora più grave per la Chiesa. «Credo di non sbagliare dicendo che penso si riferisse al fatto che, nel periodo in questione, altissime figure della Cristianità, molti frati inquisitori, politici, scienziati e alcuni nobili sposarono una precisa forma di paganesimo, professando il credo verso gli antichi dei, sconfessando le origini dell’uomo, da parte di Dio. «Lo scandalo e le prevedibili reazioni politiche e religiose che un testo simile avrebbe potuto generare, in quel particolare momento storico, era enorme, pericoloso e devastante,» sentenziò mia moglie, sicura della sua conoscenza storica e continuò: «In seguito, il propagarsi di questa nuova idea religiosa diede origine a un folto gruppo di adepti che si riunirono, dal 1225, nella Congrega dell’Aquila. Esiste una testimonianza scritta di ciò, l’ho vista personalmente. Da allora i seguaci venerano la costellazione con la luminosa stella di Altair, come la scintilla dell’origine della vita». La grande importanza politica di quel documento era evidente. Possederlo significava avere un’arma carica contro la Chiesa, da usare per ricattarla sempre e ovunque, permettendoti di negoziare a tuo favore un difficile trattato di pace, determinare un possibile cambio al potere di un Ducato, favorendo l’ascesa di un regnante o la caduta di un ecclesiastico scomodo, pensai tra me e me, riflettendo sulle parole di Emma, che riprese lentamente, il suo racconto: «Zocchi aveva sempre sostenuto che questo scritto, insieme alle Appendici di Dante, personaggio indiscusso e rispettato in tutto il mondo, avrebbero creato universale malcontento e sfiducia. Una reazione forte, che lui sosteneva avrebbe definitivamente messo con le spalle al muro la Chiesa e rivalutato il suo credo e quello dei suoi fedeli adepti,» concluse, abbastanza soddisfatta, per essersi ricordata tutti questi avvenimenti, accaduti molto tempo prima. «Vorrei parlarti, se posso, del primo omicidio. Quando mi nominasti Camponeschi collegai immediatamente il nome con la genitrice del Pontefice e sentii un lungo brivido attraversarmi la schiena. Il sospetto che Zocchi e i suoi seguaci potessero essere i responsabili del delitto mi fu subito chiaro così come la paura che il mio passato tornasse ancora a perseguitarmi. «Non sono riuscita a parlartene, quella prima volta e dopo, lo giuro, provai a farmi forza, cercai disperatamente di trovare il coraggio per confessarti il mio passato, per aiutarti con la tua indagine, ma il mio sforzo fu inutile, prevalse la paura di una tua brutta reazione negativa,» ammise, riprendendo uno spinoso argomento, che non avrei più voluto toccare, almeno per il momento.» «Hai detto tutto, più volte, hai già provato a scusarti, più volte, preferirei soprassedere, ormai non resta che ammettere la realtà dei fatti e basta. Quello che sta accadendo, non sarebbe successo senza una tua imperdonabile omissione che potrebbe costarci caro, molto caro!» Esclamai, irritato dall’insistente treno di scuse della mia compagna di vita. Mia figlia, ecco a cosa pensavo in realtà, mentre rispondevo a sua madre. Cosa dovevo inventarmi, per convincere quell’animale di Zocchi che mentivo, dicendo di aver trovato il manoscritto alle “Corti”? Ecco il mio grande problema. In mano non ho nulla, solo un bluff, certo non mi crederà quando gli dirò che il manoscritto è in mano al Vaticano. Lui vorrà solo quello, da me, per liberare Chiara. L’unica speranza è che il professore mi aiuti a trovare un appiglio storico, una traccia, un documento, una lettera, qualunque cosa che possa confermare un coinvolgimento diretto tra Dante, le sue Appendici e il maleficarum adventus antichristi. Decisi di anticipare i tempi, ritornando in questura già nel pomeriggio. Volevo studiare, con Samuele, un valido piano alternativo. Cercai tra i contatti, nel mio cellulare, il suo nome e inviai la chiamata. L’ultima volta che lo vidi era seduto davanti a me, appoggiava le mani sulla mia scrivania e mi stava guardando, parecchio sorpreso del motivo per cui mi stavo alzando velocemente e senza dire una parola stavo scappando dall’ufficio. Rispose già al secondo squillo e tralasciando di rispondere a cosa mi fosse successo quel giorno, gli chiesi dove fosse e di raggiungermi subito all’Anticrimine, senza perdere tempo. Rispose che stava uscendo dal ristorante, a poca distanza dalla questura, e che stava arrivando. Ironicamente aggiunse: «pronto a ubbidire, mio signore!» Chiusi il contatto bruscamente, senza rispondere, ero dispiaciuto del mio gesto, ma non ero certo dell’umore giusto per scherzare. Mi avviai verso la porta per uscire di casa quando Emma mi fermò, trattenendomi per un braccio e chiedendomi, con una voce colma di angoscia e di paura, cosa avrei risposto quando Zocchi mi avrebbe chiamato per fissare un appuntamento. Risposi che se mi avesse chiesto di andare l’avrei fatto e avrei agito di conseguenza, in base al tipo di situazione che si sarebbe presentata. «Ora lasciami andare, se riceverai qualche altra telefonata da quel bastardo del tuo ex marito, fammelo sapere immediatamente. A presto.» Uscii sbattendo la porta, senza aver mai creduto possibile, al momento, una qualsiasi forma di riconciliazione.
Ufficio Squadra Anticrimine (Fe)
Ore 15:30 sabato 31 maggio 2014
Entrai in ufficio con passo spedito. Dietro di me, appesantito dal pranzo e col fiatone, per essere stato costretto a salire, ancora una volta, le due rampe di scale, il mio amico Lombardi che avevo incrociato, poco prima, all’ingresso. «Buon pomeriggio Marini, scusi per l’orario e per averla convocata di sabato pomeriggio. Non potevo fare altrimenti. Il tempo stringe e devo evitare una possibile tragedia.» Cominciai a parlare rendendo partecipe il professore e Alessia di tutto quello che era accaduto nelle ultime ore e di quello che avevo intenzione di fare con il loro aiuto. «Desidero che lei, Marini, si concentri e prenda nota di tutte le mie parole e che rediga un verbale per il questore.» Iniziai a raccontare tutta la storia del manoscritto e delle implicazioni riguardanti Zocchi e la Congrega, evitando per il momento di parlare del coinvolgimento di mia moglie, ma senza omettere il rapimento di mia figlia. Alla cui notizia, Alessia smise di digitare e guardandomi stupita, esclamò: «Oh no, povera ragazza, davvero?» «Sì, purtroppo è vero, ed è proprio per questo che siamo qui adesso, per cercare una soluzione. Il rapimento di Chiara è stato, purtroppo, l’effetto ottenuto. La causa una mia disgraziata menzogna. L’aver mentito sul ritrovamento del manoscritto ha innescato l’idea del ricatto da parte della Congrega. Il mio piano prevedeva di fare emergere l’identità della talpa. Questo era il motivo del mio strano comportamento, anche verso di lei, cara Alessia. Ora sappiamo chi è, può scriverlo nel verbale.» «Chi sarebbe la misteriosa talpa?» «La dottoressa della scientifica, Serena Agostani, nota anche come vicequestore aggiunto!» Risposi con aria soddisfatta, allo stupore della Marini, che sembrò non riuscire a credere a questa mia inaspettata rivelazione, definendola incredibile e assurda. Ma, come avevo previsto, Alessia riprese il controllo totale delle sue emozioni, quasi subito. Rispondere a lei, subito dopo, creò in me un evidente imbarazzo. Volle sapere come avessi saputo di Serena e quali prove l’avrebbero potuta inchiodare. Avrei dovuto ancora mentire e inventare su due piedi una storia credibile, per non offendere l’intelligenza di Alessia. «Ho un testimone affidabile,» mentii e presi tempo continuando a organizzare il suo lavoro. «Il verbale rimarrà nel disco rigido, fino a quando non avremo raccolto le prove schiaccianti che ci servono contro l’Agostani. Quando avrà terminato di redigere può andarsene, ma, prima che lo faccia, vorrei ringraziarla per la sua professionalità e scusarmi per aver anche solo per un secondo dubitato di lei e della sua lealtà. Lei per me è indispensabile, lo tenga sempre presente, qualsiasi cosa succeda.» «Grazie, dottore, la saluto, vado a casa a preparare qualcosa da mangiare per la mia famiglia.» Presi commiato dalla mia valida collaboratrice e mi diressi verso Samuele, che era stato muto e seduto sul divanetto degli ospiti fino a quel momento. Posi la mano sinistra sulla sua spalla e lo invitai con il gesto della mano destra ad accomodarsi alla mia scrivania.
«Samuele,» iniziai a parlare, mentre il professore si sedette davanti a me «abbiamo pochissimo tempo, Zocchi potrebbe chiamare da un momento all’altro.» «Hai trovato qualcosa di nuovo e di interessante nei meandri della storia di Ferrara o in quella di Dante, che possa esserci utile? Stamattina non ho avuto il tempo di chiedertelo, ora lo faccio, ti prego, dimmi di sì!» «Sì, lo confermo, ho trovato, scartabellando negli Archivi estensi, uno scritto olografo, che pare essere di Giambattista Nicolucci, più conosciuto come Pigna, nato e morto a Ferrara nel 1500. Divenne lo storico ufficiale degli estensi e provvide all’educazione del giovane Alfonso II, futuro duca. Letterato, molto legato anche al Vincenzo Maggi, con cui divise la stesura di molti testi del periodo. Non è dato sapere se Pigna facesse parte di qualche congrega o se praticasse credi religiosi diversi da quello cattolico. Quello che ci interessa riguarda le importanti informazioni che, questa lettera, ci porta a conoscenza. «Maggi,» continuò «era un assiduo frequentatore di riunioni particolari, di chiara matrice eretica. A una di queste conobbe Benedetto Fontanini, anche lui restio ai dogmi ecclesiastici e amico del Rioli, detto il siculo, con cui discusse pericolosi temi, riguardanti il dissenso e le possibili riforme alla Chiesa cattolica. Alla fine, Benedetto venne inquisito per eresia nel 1548, salvandosi dal rogo, solo perché facente parte dell’ordine benedettino. Il Fontanini fu rettore dell’abbazia di Santa Maria a Pomposa, in Codigoro, nella provincia di Ferrara, dal 1544 e in quel luogo recuperò uno scritto di Dante, che vi aveva soggiornato prima della sua morte. «Probabilmente Maggi riuscì a leggerlo e trovò interessante discutere il testo con Pigna, forse per convincere il segretario del duca ad assimilare alcune delle sue teorie riformiste. In realtà lo scritto non poneva questioni religiose o politiche, ma spiegava solamente gli avvenimenti che avevano portato Dante a venire in possesso del misterioso manoscritto eretico e di come avesse usato le azioni nefande della Chiesa e dei suoi vicari, descritte nel testo, per riportarle nelle sue appendici del cantico dell’Inferno, nel girone degli eretici.» Lombardi concluse la sua prefazione e mi porse il foglio su cui aveva stampato la lettera, già da lui tradotta dal linguaggio in uso nel XVI secolo al nostro italiano, che aveva trovato. Il testo inizia spiegando che tutto cominciò con un furto sacrilego, avvenuto nel 1293 in una chiesa di Ferrara, a opera di un noto ladro pistoiese e questo ci era già stato riferito dal frate Querini che ci informò pure del manoscritto, riposto e protetto in una cartella di pelle bruna, impreziosita con fregi dorati. Non sapevo, lo scoprì leggendo, che il ladro, analfabeta, quindi non in grado di capire il vero valore di quell’antico tomo, cercò di venderlo per pochi fiorini a un notaio, tale Vannini, rendendolo suo complice. Nicolucci continua, descrivendo l’importanza di Dante, come magistrato, nella Firenze del XIII secolo, del sequestro del documento e dell’arresto del notaio ricettatore. Lombardi interruppe la mia lettura per farmi sapere che si era documentato anche sul ladro sacrilego, di cui la lettera non parlava. Questo furfante era ben noto a Dante, per diversi furti e un omicidio. Cercò di catturarlo senza riuscirci, questo lo irritò parecchio, soprattutto perché originario di una città che lui odiava, Pistoia. Non riuscì mai trovarlo, ma si ripromise di parlarne male, se mai avesse scritto qualcosa che riguardasse i ladri. Il professore chiuse questa sua parentesi guardandomi con un sorriso ironico. Ripresi a leggere, il testo metteva in evidenza che ovviamente Dante si era reso conto dell’enorme importanza politica e coercitiva del documento e che non si sarebbe fatto scrupolo di utilizzarlo, qualora se ne fosse presentata l’occasione. «Pigna parla anche di un profondo turbamento del Poeta che, inoltratosi nella lettura di quel testo, riconobbe insinuarsi in lui, anche non volutamente, forti pensieri eretici e turbamenti spirituali che si ritroveranno, spesso, anche, nella Divina Commedia.» Volli sottolineare, a voce alta, questo passaggio per fare intervenire Samuele che, pur conoscendo il testo perfettamente avendo letto la lettera prima di me, sapevo desiderava aggiungere il proprio pensiero. «Esatto,» confermò «lo sostengo io e altri autorevoli pensatori moderni, non sapendo però, almeno fino a oggi, a cosa imputare quello strano smarrimento religioso. Forse, proprio il manoscritto potrebbe essere stata la vera causa. Proseguendo la nostra lettura, comunque, troviamo un riferimento storico di cui siamo a conoscenza: il viaggio a Roma che intraprese Dante, mandato dalla Repubblica di Firenze, con funzioni di messo diplomatico. Il tentativo era quello di distogliere il papa dalle sue mire egemoniche, evitando di mettere a ferro e fuoco la città gigliata. Purtroppo, l’unico interesse del Pontefice era di perdere tempo e non di fermarne la conquista. Lo scrivano ferrarese afferma che il manoscritto venne usato dal Sommo Poeta, per la prima volta, come arma di ricatto verso la Chiesa. «L’Alighieri ebbe l’ardire di farlo consultare a chi, in quel momento, rappresentava la classe ecclesiastica al potere. Sua Santità trasalì, ebbe, certamente, un piccolo mancamento leggendo le orribili azioni dei suoi predecessori, parole terribili che scorrevano davanti ai suoi occhi increduli. «Il Villanova, che in quel periodo era il suo medico personale, fu testimone involontario della reazione repentina del papa stesso. Ordinò di bruciare, immediatamente, la cartella dorata con tutti i documenti, ritenendo così di aver risolto il problema. «Nella fretta di liberarsi di quella patata bollente, non si accorse della mancanza dei sigilli papali alla fine dei fogli che confermano l’originalità del manoscritto stesso.
Infatti, astutamente, prevedendo la mossa del Pontefice, l’Alighieri aveva copiato i fogli originali, mantenendo l’involucro dorato. «Gli avvenimenti, a seguire questi episodi segreti tramandati da Pigna, sono storia, conosciuta da tutti. Il papa, non contento, dopo un paio d’anni, sicuramente irritato e offeso dal tentativo di ricatto e con Firenze già in mano ai Guelfi neri, si prodigò per perseguire tutti i politici di parte bianca, a lui ostili. «Furono tempi bui per il nostro Dante, che fu esiliato e poi condannato a morte se avesse fatto ritorno a Firenze. In seguito, venne ospitato da diversi signori del tempo. Si spostò spesso e qui ci aiuta, nella cronologia degli avvenimenti, il Villanova, descrivendo l’incontro a Padova con Pietro d’Abano a cui lasciò, da consultare, il manoscritto originale. Il resto di questa storia lo abbiamo già visto e valutato. «Poi, sappiamo che l’Alighieri continuò a comporre la Commedia e terminerà l’Inferno nel periodo che va fino al 1309. Il Purgatorio lo finì prima del 1312 e poi si dedicò al cantico del Paradiso che venne ultimato alla corte di Guido Novello da Polenta, a Ravenna, nel periodo che va dal 1318 alla sua morte, nel 1321.» Lombardi concluse, con quest’ultimo storico passaggio, l’elenco completo degli avvenimenti di cui eravamo a conoscenza, fino a oggi. «Va bene, è tutto molto chiaro. Pensi anche tu, come me, che Dante abbia lasciato una specie di testamento, qualcosa scritto di suo pugno, dopo aver letto quel famoso manoscritto? Avrebbe dovuto sentirsi in dovere di giustificare quei nomi pesanti e così importanti, che aveva bellamente inserito nel VI cerchio dell’Inferno!» «Sappiamo essere sempre stata una sua abitudine inserire personaggi realmente esistiti o incontrati e definirne il carattere, i pregi o le malefatte. Se, come penso, anche il tuo pensiero viaggia in questo senso, la risposta al mio quesito, è sì. Questo documento deve esistere e deve essere stato scritto prima di morire, nascosto in qualche luogo frequentato dal Poeta, alla fine dei suoi giorni.» «Il mio pensiero è identico al tuo e avevo già preso in esame la tua ipotesi. Tempo fa ho lavorato sui miei appunti e feci una ricerca sugli ultimi movimenti dell’Alighieri. Esclusi, per la sua intelligenza e la sua astuzia più volte dimostrata, che conservasse nello stesso posto i documenti importanti. «Quindi, se le Appendici erano in possesso del duca di Ravenna, che le diede alla corte estense, se la lettera di Fontanini era nella biblioteca del convento dell’abbazia di Santa Maria, il documento scritto da Dante, che attesta l’esistenza del manoscritto, ora in mano al Vaticano, può essere solamente nella chiesa dell’abbazia di Pomposa. «Dante Alighieri vi soggiornò durante i suoi viaggi tra Ravenna e Venezia, mentre svolgeva incarichi diplomatici, per conto di Guido da Polenta. Sembra che il figlio Jacopo, pure lui poeta, abbia recuperato, misteriosamente, un anno dopo la morte del padre, proprio a Pomposa, gli ultimi tredici canti del Paradiso mancanti, che dovevano essere contenuti nell’ultimo libro della Commedia. «Ed è proprio in un canto del Paradiso che Dante fa riferimento al monaco Pietro Damiano, vissuto vari anni nel monastero di Pomposa. Pare che tra loro si fosse creata, nel tempo, una solida amicizia. Questo mi fa pensare a una complicità, nata per custodire il grande segreto del Poeta, forse avallando anche la sua ipotetica testimonianza scritta. Sono disposto a scommettere, e non è mia abitudine farlo, che il documento che stiamo cercando esiste realmente ed è nascosto in qualche angolo segreto della chiesa.» «È possibile, quello che hai detto è verosimile, in effetti, tutto lascia pensare che possa trovarsi solo lì, ma dove?» Risposi convinto, confermando in toto l’ipotesi del professore. Continuai sottolineando le difficoltà a cui saremmo andati incontro, cercando di trovare uno o più fogli, nascosti da secoli, in uno spazio così grande, ricco di possibili nascondigli, come era la chiesa di Pomposa. Non avevamo neppure la certezza che fosse ancora leggibile e che si fosse conservato dall’usura del tempo. Consigliai di concentrarci su foto e piantina dell’interno del Santuario, sperando di riuscire a individuare un oggetto, una statua, un anfratto che ci convincesse di essere sulla strada giusta. Passammo una buona mezz’ora a guardare foto e a zoomare sulle immagini che scorrevano sui nostri monitor. «Credo di avere un probabile indizio,» annunciò il professore. «L’aquila, il simbolo più vicino al credo di Altair, è uno degli animali scolpiti sulla facciata dell’ingresso dell’abbazia.» «Hai ragione!» Stavo guardando la stessa immagine, ingrandendola. «È proprio un’aquila,» confermai. «L’animale rappresentato al centro è un’aquila e ai lati ci sono un leone e un pavone.» «Proprio così,» continuò Lombardi «mentre ai lati delle sculture… veramente mi sembrano più dei rilievi, sì, direi con certezza, si tratti di rilievi, sembrano in gesso, non so. Ai lati degli animali vedo incavi rotondi colorati, sono otto, se non erro. Tre sono verdi, tre marroni e due bianchi.» Feci notare che i tre rilievi presenti nell’altro lato della facciata erano speculari, con l’aquila sempre al centro, ovviamente. Proseguì dicendo che era necessario capire quale ragionamento logico era passato nella testa del Poeta che potrebbe aver pensato, come noi, a un simbolico nascondiglio, vedendo l’aquila in rilievo. Dovevamo andare direttamente alla Pomposa, toccare con mano quei rilievi e quegli incavi, per renderci conto. Avrei dovuto chiedere, al più presto, un permesso di visita e perquisizione, alla Regione e anche ai Beni culturali, adducendo motivazioni di ricerca storica per documenti rari e importanti, utili al fine ultimo di un’indagine complessa di polizia. Per ora dovevo evitare di coinvolgere il questore e il magistrato, l’Agostani avrebbe potuto venirlo a sapere! Improvvisamente, udii il mio cellulare suonare, era il motivo dei Queen, sobbalzai sulla sedia. Speravo fosse chiunque, ma non Zocchi o mia moglie. Estrassi il dispositivo dal taschino della giacca, sperando non fosse già arrivato il fatidico momento dell’incontro con quel criminale. Purtroppo, comparve il numero di Emma. Stringendo occhi e denti le chiesi cosa fosse successo. La risposta fu quella che mi aspettavo, aveva chiamato Zocchi. «Vuole vederti domani, ti farà sapere l’ora e dove, chiamerà sempre e solo me, da un telefono pubblico.» Le domandai se lui avesse detto altro e se lei avesse capito, dai rumori di fondo, da dove stesse chiamando, se da un posto pubblico o da un luogo isolato. La risposta fu negativa, mi fece notare che la telefonata era stata molto breve e che sarebbe stato impossibile, per chiunque, capire da dove e con cosa la facesse. Conclusi con un veloce e breve ringraziamento, ricordandole di farmi sapere, immediatamente, quando avesse ricevuto le coordinate dell’appuntamento. Nonostante fossi preparato a ricevere un ultimatum da quel bastardo, l’ansia mi prese ugualmente allo stomaco e sentii come un senso di nausea. Trattenni a stento un leggero conato di vomito, se non altro per il povero Lombardi, che mi scrutava il viso, contratto dalla rabbia. «Sbaglio, se penso che, dopo quello che accaduto, il rapporto con tua moglie si sia molto incrinato?» Commentò Samuele, seriamente dispiaciuto della mia attuale situazione famigliare. «Vorrei vedere che così non fosse, sarebbe impossibile, per chiunque, passarci sopra e perdonare, dopo quello che mi ha tenuto nascosto. Ho anch’io le mie colpe, ma sono sempre un effetto delle sue menzogne, accidenti a lei.» Confessai, però che, forse, sarei riuscito, col tempo, a dimenticare. Nonostante tutto, provavo ancora un sentimento forte che mi spingeva verso il perdono, anche se, fino a quando l’indagine non si fosse conclusa sarei rimasto a vivere in albergo. Ritenevo fosse molto meglio così.
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