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Trascrizione

Ascoltiamo e leggiamo insieme l'intero quinto capitolo del mio giallo ambientato a Ferrara.

"La nemesi dell'Aquila" è il primo libro della trilogia: "FERRARA e l'ABISSO della COLPA"

La misteriosa Ferrara si tinge di giallo il BLOG di Daniele Meschiari.


CAPITOLO CINQUE

Ufficio Squadra Anticrimine (Fe)

Ore 09:50 martedì 20 maggio 2014

Nonostante tutto, indifferente a quello che capitava sulla terra, il sole di maggio continuava a splendere e i caldi raggi attraversavano i vetri della finestra che dava su Ercole I d’Este, riflettendosi sulla mia fronte. Questa sensazione di leggero calore e questo riflesso m’innervosivano un po’ mentre aspettavo il professore. Il mandato che il P.M. mi aveva recapitato un’ora fa, come da accordi presi, avrebbe permesso di accedere ai documenti segreti e originali degli estensi, digitalizzati negli archivi modenesi. Lombardi arrivò puntuale, come sempre, alle dieci in punto. Partimmo subito per Modena. Decisi, nel parcheggio, all’ultimo minuto, che avremmo usato per il viaggio la mia auto personale e non quella di servizio. Avevo voglia di guidarla, di sentire il profumo degli interni in pelle e quell’odore di nuovo, che purtroppo dura così poco. Gli impegni di lavoro non mi permettevano di godere del mio nuovo acquisto e i brevi tratti di percorrenza non lenivano la mia voglia di sentire il potente motore, ruggire alla pressione sull’acceleratore. «Al diavolo i soldi, professore, oggi usiamo la mia auto!» Indicai un Audi 4x4 blu. «Proprio una bella macchina, Leone, proprio una bella macchina,» ripeté ammirato il Lombardi. «Spero però che non sia uno di quei piloti un po’ troppo audaci, quelli che frenano all’ultimo secondo, dietro le auto, quasi a tamponarle. Soffro di stomaco, chiedo una cortesia, non lo faccia!» «Non si preoccupi, sono un pilota esperto e giudizioso, ci godremo insieme un bel viaggio fino alla mia città natale.» «Ah, che sorpresa, un modenese puro sangue!» Sottolineò il professore. «Da generazioni,» precisai orgoglioso. Il viaggio durò meno di un’ora, ma in quei 75 km, il prof mi raccontò quasi tutta la sua vita. Scoprivo un altro uomo da quello che poteva apparire ad un primo contatto. Serioso, preciso, anche un po’ indisponente nell’ostentare la sua cultura e la sua istruzione. In realtà un uomo desideroso di stare in compagnia, di parlare, di discutere e anche d’incaponirsi sui fatti della vita quotidiana e le storie che non riguardassero solamente le sue consolidate conoscenze storiche. Ci dirigemmo verso l’Archivio di Stato di Modena che si trovava nel cuore del centro storico, a pochi passi dal Duomo. Com’era prevedibile, appena superammo la linea della zona Z.T.L., un solerte vigile urbano ci fermò, alzando la mano, indispettito. «Alt, non si può entrare in centro, favorisca i documenti.» «Buongiorno, devo raggiungere l’Archivio in Corso Cavour, 21. Sono il vicequestore di Ferrara, dottor Ferrari. Questa è la tessera, ho un mandato per visionare alcuni importanti documenti, che riguardano tre casi di omicidio! Avrei anche una certa fretta, se può indicarmi la via più veloce, le sarei veramente grato.» Il vigile guardò il documento che gli porsi e, immediatamente, mi diede le informazioni che gli avevo richiesto. Ringraziai e mi diressi verso il mio punto di arrivo. Parcheggiai l’auto proprio davanti a uno splendido palazzo, riconoscibile, come nostra meta, dalla grande scritta “Archivio di Stato”, che faceva bella mostra di sé al di sopra di un’ampia e lunga loggia. Un’alta porta-finestra centrale rendeva accessibile la balconata, situata sul portone d’ingresso dell’edificio. «Tardo Settecento, costruito su un convento domenicano del Duecento,» m’informò Lombardi. «Il fatto è curioso,» proseguì il professore «la coincidenza con il nostro caso è reale. L’edificio fu ampliato congiungendo, anche, il locale del tribunale dell’inquisizione, di cui l’Archivio conserva tutti i rari documenti.» All’entrata trovammo ad aspettarci la dottoressa Zanchi, che doveva assisterci nella nostra ricerca. Le feci vedere, subito, il mandato, sempre necessario per poter accedere ai documenti segretati. «Seguitemi, andiamo nella Sala di studio. Oggi, solo per quest’occasione particolare, è stata chiusa al pubblico. Lì potremo consultare digitalmente tutti gli archivi e volendo potremo anche entrare nei documenti della biblioteca estense universitaria.» Appena giunti nell’antica e affrescata sala, lei ci fece accomodare a un ampio tavolo, allestito per l’occasione, con due monitor da 24 pollici e relative tastiere che erano collegati con un terzo, più grande da 32 pollici. Quella sarebbe stata la postazione centrale, gestita dalla Zanchi. Da quella postazione avrebbe potuto dare risposta alle nostre richieste. Iniziò a parlare Lombardi, specificando che il periodo che ci interessava era quello relativo alla reggenza del duca Alfonso II d’Este e che il documento che ci interessava trovare era composto da tre fogli. Lo scrivano e/o notaio, forse possibile testimone che l’aveva redatto, era Vincenzo Maggi. Nel documento compariva, oltre al duca, anche il nome di Michel de Nostredame, detto Nostradamus. La dottoressa cominciò a comporre sulla tastiera le informazioni che aveva ricevuto e rapidamente il potente computer elaborò i dati, li comparò e comparvero su tutti e tre i monitor i documenti originali. Scartai il primo e il terzo foglio, li avevo già letti e riletti, più e più volte. Ingrandii a 200 il foglio centrale, sicuro che anche Lombardi lo avesse già fatto. La sua imprecazione anticipò di una frazione di secondo la mia: «Impossibile si tratti di lui, inaccettabile, non può essere vero!» «Sono veramente sorpresa!» Queste ultime, furono le parole che uscirono dalla Zanchi. «Se il documento è, come sembra, originale, siamo davanti a uno scoop storico, inimmaginabile.» Nel terzo foglio, che appariva sul monitor, erano evidenti i famosi timbri in ceralacca del periodo e le firme dei convenuti che davano, senza ombra di dubbio, l’assoluta validità a tutto il documento. La dottoressa stampò due copie del centrale e mi porse una delle due:

Potentio origine scritto in capitoli III appendicem Inferno Sommo et illustrissimo poetae di pugno suo signato in titolo di “Le False Veritate”. Origine certa scritto mano custodite in secreto loco mai vedute fin da anno nativitatis eiusdem 1504 e pria ancora custodia da illustrissimo Obizzo III signore della urbe de Ferrara da anno nativitatis 1329. In confermo e garantia absoluta. Duca illustrissimo Alfonso Secundo della casata D’Este di Ferrara.

Esordii con due richieste per il professore. La prima era molto semplice e chiedeva a cosa ci avrebbe portato tutto questo. La seconda ipotizzava che Maggi fosse venuto in possesso della copia del documento, tutto o in parte, dal suo antenato, oppure fosse venuto a conoscenza, sempre tramite qualche scritto tramandato dal passato, dove avesse potuto trovare i fogli che cercava, nelle bottiglie di Camponeschi. Allora perché, come logica impone, avendo recuperato tutti e tre i documenti, ne avrebbe fatti trovare solo due. Perché a noi? Forse per costringerci a indagare sul mancante? Il professore rispose, al mio primo interrogativo, con una domanda, anche se, sottolineò, è sempre scorretto farlo. Si chiese se nell’antico foglio davanti ai suoi occhi si stesse parlando proprio di Dante. «Se sì,» ammise, «stiamo guardando uno scritto, originale, che coinvolge l’opera prima del Sommo Poeta e che, in pratica ci informa: la Divina Commedia, così come la conosciamo, non è completa! Mancherebbero le tre appendici di cui parla il documento.» Poi, sempre più sorpreso da quello che stava leggendo, ci rivelò che, quello che più lo incuriosiva, era lo strano iter seguito da questo manoscritto segreto. Infatti, dal testo sembrerebbe sia stato nascosto e custodito dalla casata estense per più di due secoli e, per quanto era dato a sapere, in due luoghi diversi. «Soprattutto il primo nascondiglio citato, “il secreto loco” mai veduto, risulta essere veramente misterioso!» Continuò, chiedendo di approfittare della dottoressa per cercare nei documenti dell’Archivio qualche traccia di quel luogo. Mentre la Zanchi si occupava di questa ricerca, Lombardi volle rispondere al secondo quesito che Ferrari gli aveva posto. «Era premeditato, sicuramente! Qualcuno voleva che si scoprisse di più su queste misteriose carte. Infatti, solo chi avesse potere di accesso a questi archivi di Modena poteva farlo.» «Il luogo segreto è la chiave di tutta l’indagine, ed è quello che vogliono sapere anche gli assassini. Loro ci hanno mandato qui per fare il lavoro di ricerca al posto loro. La domanda più logica adesso è questa: cosa c’è scritto nelle tre appendici per essere così importante per questi criminali? Se questo documento è stato consegnato a Nostradamus nel 1560, come risulta dalla lettura di questi fogli, qual è lo scopo di trovare un nascondiglio che sembrerebbe essere stato privato del suo tesoro più prezioso? A rigore di logica dovrebbe essere vuoto.» Sostenni deciso. «Forse posso rispondere io,» m’interruppe la dottoressa Zanchi. «Ho trovato due lettere che ora trasferisco sui vostri due monitor. Una del 1496 e una del 1503. Sono indirizzate ambedue al duca Ercole I d’Este. La firma della prima sembra appartenere al Savonarola e la seconda è chiaramente firmata da Niccolò Copernico che, in quell'anno, aveva ottenuto la cattedra all’università di Ferrara. L’oggetto delle due lettere sembra essere molto simile, anche se i toni appaiono decisamente diversi. Il Savonarola chiedeva, o meglio supplicava, di nascondere al mondo le terribili nefandezze ordite e poi trascritte in un testo che lui definisce: “maleficarum adventus antichristi”. Il Copernico, preso atto delle teorie eretiche dello stesso manoscritto, a cui fa riferimento il Savonarola, chiede di convocare a corte Leonardo da Vinci, perché possa costruire una solida camera segreta, atta a conservare nel tempo il prezioso scritto.» «La prego, si fermi, solo un attimo,» interruppi la dottoressa su quest’ultima frase. Posizionai le due lettere l’una accanto all’altra nel monitor, le confrontai per qualche minuto e poi chiesi, a tutti, di fare il punto della situazione. Mi resi conto che, improvvisamente, emergevano, dai meandri della storia, importanti personaggi tra cui, addirittura, il genio di Vinci. Tutti collegati a questa strana vicenda, che ora sembrava complicarsi ancora di più, di quanto non lo fosse già. «Dobbiamo considerare l’ipotesi, molto probabile, che esistano due scritti, unici e originali. Uno di questi potrebbe essere dell’Alighieri e uno definito “nefando”, come lo chiamò il Savonarola, di un autore sconosciuto. Sembrerebbe essere colmo di teorie eretiche, ma comunque da salvaguardare assolutamente, almeno così sosteneva il Copernico. Se avessimo conferma della visita di Leonardo a corte, dovremmo valutare, come possibile, il suo intervento nella realizzazione di questo famoso luogo segreto, per custodire i due documenti. Cosa ne pensa, prof?» Ero curioso. «È una bella storia, leggendo queste due lettere che ho anch’io sul monitor, posso senza dubbio dire che almeno uno dei due scritti era già custodito alla corte estense fin dai primi del Trecento. Parlo di quello, ipotetico, di Dante che, se la memoria non m’inganna, morì a Ravenna nel 1321. Sul secondo testo, ho ancora nella testa parecchi quesiti irrisolti a cui rispondere. Esiste un collegamento tra i due documenti? Nelle due lettere appare evidente che il Savonarola e il Copernico abbiano letto, attentamente, il cosiddetto “manoscritto eretico” ma non le tre Appendici. «Perché nascondere e conservare a corte ambedue gli scritti, quando sarebbe stato molto più comodo distruggerli? Si deduce da questo comportamento che fossero vitali per il Ducato e collegati da un’utilità comune. Concorda con me Leone?» «Concordo, concordo assolutamente,» risposi convinto. Vista l’ora decidemmo seriamente di lasciare riposare le nostre teste e quella della nostra dottoressa rimandando al pomeriggio la nostra ricerca. Inoltre, dovevamo assolutamente liberare dall’impegno di lavoro la Zanchi, lasciandola andare, finalmente, a pranzo, senza dimenticare di chiederle se desiderasse venire a mangiare con noi. «No, grazie devo declinare l’invito, oggi sono attesa a casa,» fu la risposta gentile della donna. «Se volete, alle 14:30 sarò in ufficio, disponibile a continuare il nostro lavoro. Sapete già dove andare? Se volete, posso indicarvi qualche buon ristorante nelle vicinanze.» «Sono nato a Modena e fortunatamente ho ancora i miei genitori vivi e vegeti. Spesso vengo a trovarli e colgo l’occasione per portarli fuori a pranzo. Un paio di posti giusti li conosco, ottenendo tre risultati: primo, con la scusa, li faccio uscire di casa, altrimenti non lo farebbero mai. Secondo, evito di costringere mia madre a passare un sacco di tempo ai fornelli e terzo, ma non meno importante, evito il suo caffè alla fine del pranzo, che è pessimo.» Una risatina compiacente della dottoressa concluse in modo piacevole il nostro parlare. «Venga, Lombardi, mi segua, conosco un buon ristorante, proprio qua dietro, in Corso Vittorio Emanuele. Ho la massima fiducia nelle sue capacità gustative, la sua pancetta testimonia una buona esperienza nel settore, sono tranquillo!» A tavola si parla bene e in tranquillità. Se non si beve o si mangia troppo, la lucidità rimane integra e a volte le buone idee si riversano nelle parole e nei discorsi come il buon vino nel bicchiere. Finito di pranzare Lombardi iniziò a spiegarmi il periodo ravennate di Dante, alla corte di Guido Novello da Polenta, il suo ultimo mecenate dal 1318 fino alla morte. «Come avrai capito dall’enfasi che uso parlando di questo personaggio, sono un appassionato studioso dell’Alighieri e del suo tempo. Spero veramente si parli di lui, nel documento, perché il poter partecipare personalmente a questa ricerca delle Appendici perdute, mi elettrizza. Ho la netta sensazione che, oggi pomeriggio, scoprendo altri documenti del periodo, potremmo avere alcune risposte interessanti. Per esempio, vorrei sapere come arrivarono i manoscritti a Ferrara. Inoltre, potremmo anche scoprire il motivo per cui Obizzo III decise di custodire in gran segreto le “False Veritate” e anche dove. Invece dubito, fortemente, di trovare notizie sul luogo segreto del manoscritto di cui parlano il Savonarola e Niccolò.» «Trovo esatte e logiche queste sue considerazioni, ma sono anche molto preoccupato! Se le informazioni, che lei suppone potremmo trovare nell’Archivio, fossero di vitale importanza per noi, lo sarebbero anche per gli assassini, che farebbero di tutto per impadronirsene. La domanda sorge spontanea, caro professore, come pensano di procurarseli? Quando entrammo nell’appartamento di Maggi, ebbi la netta sensazione che lui fosse stato avvertito del nostro arrivo, quindi il pericolo di avere una talpa, all’interno della stessa Questura, è molto probabile.» Era già tarda sera quando, completamente stanchi e assonnati, tornammo verso Ferrara. Avevamo fatto, solamente, una breve sosta in un autogrill per un toast, un bicchiere d’acqua e un caffè caldo. La giornata era stata pesante, ma redditizia. Avevamo, come previsto, ricavato molte altre utili notizie nell’Archivio di Modena, vera fonte di informazioni. Ora si trattava di radunarle tutte insieme, collegarle e verificare l’esatta cronologia degli avvenimenti storici con il percorso compiuto dai due antichi scritti e di come, tutto questo, si collegasse a sua volta con gli omicidi Camponeschi e Augeri. Lombardi, arrivato al parcheggio della Questura, scese dalla mia auto e si diresse, barcollando per la stanchezza del viaggio, alla sua. Padova era ancora lontana, povero prof, pensai tra me e me. Poco prima mi aveva assicurato che, nei prossimi giorni, avrebbe recuperato e studiato tutti i suoi preziosi appunti, sia scritti che digitali, sugli argomenti discussi nella giornata odierna. Promise, inoltre, di mettere a disposizione del mio ufficio tutta la sua conoscenza sulla materia, relazionandomi sul quadro storico, completo, degli avvenimenti. Attesi, seduto nella mia Audi, con il finestrino abbassato, la partenza dell’auto del mio prezioso consulente. Salutai con un gesto della mano sinistra il Lombardi che ricambiò il saluto, poi spinsi il pulsante alza vetro e il finestrino si chiuse rapidamente. Accesi il motore e mi diressi verso casa. Ero molto stanco pensai dovesse esserlo, vista l’età, maggiore della mia, anche Samuele. «Speriamo, non abbia un colpo di sonno al volante.» Mi resi conto di averlo detto a voce alta e di averlo chiamato per nome, per la prima volta. Entrai in casa e pronunciai un’unica parola, in risposta alla domanda di Emma, che mi chiedeva come fosse andata la giornata: «Esausto.» Una seconda parola uscì dalla mia bocca: «Chiara?» «È già a letto, tranquillo.» rispose la mia paziente compagna di vita. «Bene, vado anch’io, adesso! Buonanotte, amore mio, rimandiamo a domani le spiegazioni. Ti spiace?» «Per niente, mio stanco poliziotto, vai a dormire, domani è un altro giorno!» «Vedo che non sono l’unico a usare citazioni da un film.» «Non sei il solo, vai ora.» Un sorriso e una leggera pacca sulla mia spalla furono i gesti che mi accompagnarono verso le braccia di Morfeo.

Ufficio Squadra Anticrimine (Fe)

Ore 08:50 mercoledì 21 maggio 2014

Nardi entrò di corsa in ufficio, visibilmente eccitato dalla notizia che stava per comunicare: «Hanno avvistato Antonio Maggi in compagnia di un’altra persona, una donna. È successo ieri, in tarda serata. Il merito è di una agente della polizia municipale che stava compiendo un giro di controllo, nel parcheggio di piazza Sacrati. Avevamo distribuito a tutti, polizia, carabinieri e vigili urbani, la foto del criminale, sperando che qualcuno lo potesse riconoscere ai posti di blocco o in strada normalmente. «La vigilessa è rientrata subito in ufficio e ha fatto un rapporto preciso sul nostro sospettato di omicidio e sull’essere stata a un passo dal ricercato. Dopo aver guardato attentamente la foto segnaletica ha confermato, senza dubbio, l’identità dell’uomo. Il comandante Vellani ha immediatamente allertato, come da accordi presi, il nostro ufficio Anticrimine e subito dopo ho radunato gli uomini e sono andato subito sul luogo dell’avvistamento.» «Quanto tempo è trascorso dall’avvistamento del nostro sospettato in piazza Sacrati al vostro intervento?» «Potrei sbagliare, ma direi un’ora al massimo.» «Sembra siano stati sufficienti al signor Maggi per sparire, visto che non si è parlato di arresto,» replicai. «Quando giungemmo in zona non vedemmo il ricercato o altre persone che potessero farci pensare a un collegamento con lui.» «Le abitazioni, intorno alla piazzetta, possono far pensare a qualche nascondiglio?» Ero interessato ad una zona di Ferrara, da me, poco conosciuta. «Intorno al parcheggio vi sono diverse case, con porte che danno sulla piazzetta. Difficile dire se il “nostro” alloggi in una di queste. La chiesa di San Domenico è una zona completamente recintata e il passaggio è vietato a tutti, perché c’è pericolo di crollo dopo il sisma del 2012.» «Va bene, ormai è tardi, è inutile piangere sul latte versato, come si dice. Da adesso a tutti gli agenti verrà data la foto del sospetto, da conservare nella tasca della giacca della divisa. Dovranno telefonare direttamente a noi, se riconoscessero Maggi,» ribadii, stizzito. «Nardi, voglio un controllo costante sulla zona in questione h24. Dovrà pure uscire dal suo buco per mangiare o fare altro. Se ieri sera non vi siete fatti troppo notare, potrebbe non sospettare nulla e farsi finalmente catturare. Speriamo che stazioni veramente in quella stessa parte della città. Alessia, prepari e stampi una mappa del luogo, anche dall’alto, con Google Maps e poi me la faccia avere.» «D’accordo, dottore, lo faccio subito!» «Nardi, mi convochi la vigilessa che ha visto il nostro sospettato, voglio parlarle stamattina, grazie.» Nardi si dileguò dalla stanza in un attimo, solerte come sempre, col cellulare incollato all’orecchio, stava già chiamando la ragazza. L’orologio elettronico indicava le 11:27 quando la donna in divisa si presentò al dottor Ferrari. «Buongiorno, operatore di polizia municipale Gerelli.» «Buongiorno, si segga. L’ho convocata per avere da lei alcune informazioni sull’avvistamento di ieri sera.» «Ecco le stampe delle mappe da Google Maps, nella zona di piazza Sacrati,» disse l’ispettrice Marini, porgendomi i fogli. «Può indicarmi il punto preciso dove ha visto il nostro uomo, per favore?» Esortai la Gerelli, indicando le mappe. «Esattamente qui, alla fine del parcheggio, verso la chiesa di San Domenico.» Rispose, segnalando, con estrema precisione, il punto esatto. «Era con un’altra persona, girata di spalle e parlava con questa molto animatamente. Fisicamente, giurerei si trattasse di una figura femminile. L’uomo l’ho visto bene in viso perché il lampione in fondo alla piazzetta lo illuminava proprio in quel punto. Credo non si sia accorto della mia presenza, gli alberi e le auto parcheggiate mi nascondevano alla sua vista. Forse avrei fatto bene a rimanere un altro po’, magari avrei potuto vedere se entrava in qualche portone o cancello delle case lì intorno.» «Grazie, è stata molto utile, stia sempre attenta a tutto, come ha fatto questa volta. Comportarsi in questo modo la porterà sicuramente in alto, auguri e buon lavoro.» La vigilessa scattò in piedi come una molla, contenta dei miei apprezzamenti, salutò e si diresse verso l’uscita dell’ufficio. Estrassi il cellulare dalla tasca interna della giacca. Premetti contatti, Lombardi, ancora contatto, tre squilli: «Buongiorno, mi scusi se la disturbo a quest’ora.» Poi senza dargli il tempo di rispondere, lo incalzai: «Devo togliermi subito un dubbio dalla testa. Ha presente la chiesa di San Domenico a Ferrara? L’entrata laterale, al n. 10 da piazza Sacrati, oggi è chiusa e recintata per il sisma del 2012. Cosa posso sapere, io povero ignorante, di questo posto? Lo chiedo a lei perché sono sicuro che lei sa di cosa sto parlando.» «Caro Leone, proprio in questo momento stavo cercando di completare la relazione, comprendente, anche, le scoperte fatte nella nostra visita all’Archivio di Stato. Avrei pensato di portarla domani pomeriggio, alla sua attenzione, per poi discuterla insieme. Stamani ho avuto tre ore di lezione a Padova, rientrato a casa, avrei voluto completare il mio lavoro di ricerca. È così urgente la domanda che mi ha appena fatto? Preferirei rispondere al suo quesito domani, quando ci vedremo.» «È urgentissimo, non c’è tempo da perdere, se la mia ipotesi fosse confermata, potremmo avere trovato il nascondiglio di Maggi. Questo, caro professore, dipende dalla risposta che mi darà, ora.» «Va bene, un attimo che cerco tra i miei appunti, nel computer...passarono alcuni minuti... ecco, ho trovato.» Leggo: «la facciata della chiesa San Domenico si trova in via degli Spadari, una laterale di viale Cavour, all’altezza delle Poste centrali. Nella fiancata sud della chiesa, che dà sul parcheggio, si trova l’ingresso che un tempo era l’oratorio di Santa Croce. Si trova in piazza Sacrati 10. Era l’antica sede del tribunale e delle prigioni della Santa Inquisizione. Ogni città aveva la propria chiesa dedicata e a Ferrara vi era la Chiesa di San Domenico. Le esecuzioni avvenivano nella piazza di fronte alla facciata.» «È come pensavo! È il posto perfetto per nascondersi. Coincide con il pensiero di questa gente malata e con il periodo storico che stanno rivivendo. La zona in questione è esente da curiosi, essendo vietato avvicinarsi, ed essendo tutta recintata. Probabilmente qualcuno, il nostro sospettato in particolare, potrebbe entrare da qualche ingresso laterale ai vari recinti. Dalle mappe vedo che, alla fine di una recinzione, c’è un cancello automatico che immette in un cortile dal quale si accede all’oratorio della chiesa. Certo, il posto dove potrebbe nascondersi è decisamente pericoloso. La possibilità di crolli è costante, ma questo personaggio ha il pelo sullo stomaco e non si è fatto certo intimorire da un po’ di pietre, che potrebbero crollargli in testa. «Grazie, prof, per le informazioni, ora raduno la squadra e vado a prenderlo. Ci si vede domani. È inutile che glielo dica, starò molto attento, la chiesa ha subito parecchi danni dal terremoto. Ho saputo che la cupola e alcuni muri portanti sono messi molto male. In caso di trambusto, per la cattura, potrebbero verificarsi piccoli crolli.» Conclusi la telefonata, salutando in fretta e furia. «Alessia, chiami Nardi, che raduni di nuovo la squadra Anticrimine, si ritorna a piazza Sacrati, questa volta sarò presente anch’io. Ho avuto conferma dal professor Lombardi che il nostro uomo può essersi rifugiato proprio lì. Appuntamento al parcheggio della polizia fra venti minuti. Avvisi il questore dell’operazione. Si premunisca di farci avere i mandati di perquisizione e d’irruzione nella parte sud della chiesa di San Domenico al numero civico 10 e 10A. Mi servirà una copia dei permessi per e-mail. Noi andiamo, mi faccia gli auguri e noi faremo gli scongiuri che tutto vada bene.» All’ora prefissata, con i ragazzi della squadra salimmo sulle auto di servizio e senza usare le sirene raggiungemmo la nostra meta. Era ora di pranzo, il traffico era scarso, la gente era impegnata a soddisfare palato e stomaco brontolante. Questa situazione veniva a nostro vantaggio. Arrivammo all’antico oratorio senza essere particolarmente notati. Cercammo, all’inizio senza successo, una possibile apertura nella recinzione. Trascorsi una decina di minuti, osservando bene com’era chiuso uno dei recinti, quello all’altezza del lampione davanti al civico 12, notammo che la base del palo che ospitava la fine del reticolo era spostabile verso la strada. Avevamo trovato il possibile passaggio verso la porta dell’oratorio. Lo spazio disponibile tra la rete e il muro permetteva di avanzare, verso la chiesa, a una sola persona alla volta. Quindi ci muovemmo silenziosamente, in fila indiana, sfregando spesso, con la schiena, il vecchio muro. Arrivato, per primo, davanti al n. 10, lentamente provai a spingere con la mano l’antica porta di legno impolverata, sperando di non dover usare un ariete per aprirla. Fortunatamente si aprì senza difficoltà, confermando, ancora di più, la mia teoria sul fatto che fosse l’attuale nascondiglio del nostro assassino. «Polizia, stiamo entrando nell’edificio!» La voce echeggiò nell’atrio. Percorremmo rapidamente un corto corridoio che ci portò in un’ampia, polverosa, stanza dai soffitti decorati. Quasi al centro, un lungo tavolo di legno, rettangolare. Quasi all’angolo del lato lungo, c’era un corpo. Riverso, immobile sul ripiano, con una mano abbandonata sul fianco sinistro e con l’altra mano appoggiata su quello che sembrava, dalla mia confusa e distante visuale, un foglio di carta. Immaginai, subito, che si potesse trattare di Maggi. Il sospetto divenne una certezza avvicinandomi per scoprire il volto dell’uomo: «Accidenti, è proprio lui. Nardi faccia venire un’ambulanza e avverta il medico legale e la scientifica, c’è ancora del lavoro da fare!» Ordinai, innervosito dall’ennesimo cadavere trovato. Notai che sul pavimento di pietra, vicino alla sedia, c’era una bottiglietta vuota, una di quelle che contengono un liquore monodose, molto apprezzate tanti anni fa e oggi quasi sparite dalla circolazione. Ero sicuro che non contenesse solo Brandy italiano, della marca indicata dall’etichetta, ma forse, ipotizzai, anche un potente veleno. Maggi si era avvelenato, lo si poteva dedurre anche dal filo di bava che gli usciva dalla bocca semiaperta. Impugnando con due dita un fazzoletto di carta, spostai di lato la sua mano inerte, potendo così guardare meglio il foglio su cui si posava. Vi era uno strano disegno e due frasi, scritte con un grosso pennarello rosso che, lasciato senza il cappuccio, era ancora sul tavolo. La figura si componeva di due triangoli isosceli con la base in comune e da questa una retta, come a formare una lunga coda. Una forma molto simile a un aquilone. Le ali erano i due triangoli e la retta sembrava la corda che lo tratteneva in volo. Sotto questa, apparentemente geometrica figura, erano presenti due frasi misteriose che rivolgevano accuse e minacce a persone sconosciute.

Nel nome di questa hanno ucciso.”

Per la fede in questa moriranno tutti.”

Un paio di considerazioni, in merito all’accaduto, erano necessarie. La prima: dovevamo affrontare gente decisamente invasata, disposta a morire piuttosto che a farsi catturare. La seconda: ancora una volta qualcuno aveva avvisato Maggi del nostro arrivo. Come? Con una telefonata? Sicuramente è la cosa più probabile, ma per farla era necessario che il nostro uomo avesse a disposizione un cellulare, che non abbiamo ancora trovato. Come se n’era liberato? I tempi erano stati troppo stretti per averlo avvisato di persona. Trovare il telefono sarebbe un bel passo avanti. Potremmo dare un nome alla nostra misteriosa talpa. La permanenza del nostro uomo, in questo luogo, era confermata dal materassino da campeggio, usato come letto, in un angolo della stanza. Il lenzuolo e la leggera coperta di cotone ancora da rincalzare, due bottiglie d’acqua vuote e alcuni resti del cibo da asporto erano la prova di una sua presenza nell’oratorio, da alcuni giorni. «Voglio tutte le impronte e il DNA che riusciranno a trovare su ogni oggetto o briciola di questa stanza, sono stato chiaro, Nardi?» Quasi lo urlai. «OK, dottore,» rispose, preoccupato dal mio tono, l’ispettore capo.

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