La misteriosa Ferrara si tinge di giallo il BLOG di Daniele Meschiari.
CAPITOLO TRE
Ufficio Squadra Anticrimine (Fe) Ore 08:30 giovedì 15 maggio 2014
Era presente tutta la squadra, curiosa e ansiosa di fare il punto sull’indagine, per il caso dell’anno. Così titolavano tutti i giornali già da martedì 13. Davanti a me e a tutti, sul grande tavolo da riunione in antico legno massello, tre cartelle, colorate in modo differente. La gialla conteneva le perizie legali, la rossa che custodiva all’interno, oltre agli esami sulle tracce e sulle impronte, i reperti della scena del crimine del primo delitto Camponeschi. Aprii il fascicolo giallo pregando tutti di fare la stessa cosa e iniziai a leggere a voce alta. «Causa della morte: strangolamento con applicazione di un laccio al collo, stretto da una forza estranea. Su tutto il corpo, tranne la testa e il collo, sono presenti ustioni sotto dermiche, causate da liquido bollente (olio da motore). La differenza di gravità delle ustioni è dovuta ai numerosi versamenti di olio bollente, sulla vittima ancora viva, iniziando dalla base del collo. Osservando l’arto superiore sinistro, si può notare una lussazione all’altezza del polso, dovuta alla sospensione. Il colore delle ecchimosi si presenta come blu-violaceo con tendenza al verdastro. Si deduce che il corpo, probabilmente ancora vivo, sia rimasto appeso almeno per due giorni. Analizzando l’incisione sullo scroto, risulta che i testicoli siano stati asportati, recidendo i tessuti fibrosi e i tubuli seminiferi, con una lama seghettata di grosse dimensioni. Dai test chimici, utili per la cronologia della morte, si deduce che sia avvenuta circa otto ore prima del ritrovamento. Fine dell’esame autoptico eseguito in data 13 maggio 2014 dal patologo forense dottore Cobolli Eugenio.» Cominciai a leggere il contenuto del fascicolo rosso. «Omicidio Raimondo Camponeschi. Quartesana (Fe) 12 maggio 2014. Si certifica che gli agenti della squadra anticrimine di Ferrara, giunti per primi sul luogo del reato, avevano provveduto a isolare e sorvegliare la località per impedire eventuali alterazioni esterne, che avrebbero potuto inquinare la scena. Prendiamo nota della totale assenza di testimoni. Perquisizione del luogo del delitto: ritrovato il portafoglio del proprietario, completo di denaro e documenti. Presenza di armi sul luogo: nessuna. Conclusioni: il referto autoptico e il soprascritto rapporto evidenziano quanto segue: il soggetto ignoto, ha inizialmente sopraffatto la vittima, narcotizzandola con il cloroformio. Dopo averla trasportata, caricandola sulle spalle, nella cucina dell’abitazione, l’avrebbe legata con la catena arrugginita e appesa alla trave di legno. Si deduce che il S.I. sia probabilmente maschio, abbastanza giovane e robusto. La misura dell’altezza, dalla trave al pavimento (tre metri) fa pensare anche che il S.I. sia di altezza superiore alla media. Dai rilievi effettuati e dal referto legale, pare che, la data dell’avvenuta aggressione possa risalire a due o tre giorni prima del ritrovamento del cadavere. La vittima è stata torturata. «Confermata la morte per strangolamento con laccio (non ritrovato), avvenuta circa otto ore prima del rinvenimento. Mancanza totale di tracce su tutta la scena del crimine e di reperti o oggetti usati per il delitto. Fine del rapporto, in data 14 maggio 2014. Firmato: vicequestore aggiunto della Polizia di Stato, dottoressa Serena Agostani.» «Oggi come oggi, non si può più prescindere dall’indagine scientifica. In effetti, però, mancando i dati tecnici di confronto dell’omicidio del figlio della vittima, non siamo in grado, pur sospettandolo fortemente, di affermare che si tratti dello stesso assassino. Stiamo ancora analizzando le prove, ma sono sicuro di interpretare il pensiero di tutti noi, dichiarando che si sospetta una sola matrice, per entrambi i crimini,» informai, mentre aprivo la terza cartella, quella azzurra. «L’ispettrice Marini ha svolto una preziosa indagine, sul messaggio che avvertiva della morte violenta nel casale di via Selva. Ha scoperto che il linguaggio usato dal nostro killer è un mix tra il latino medioevale e il volgare. Una forma di latino usata nel medioevo come lingua per lo scambio culturale e come lingua liturgica della Chiesa cattolica, ma non si tratta di latino ecclesiastico. Veniva usata anche come lingua scientifica, letteraria e del diritto. Il periodo, durante il quale il latino medioevale si è differenziato dal latino volgare, è il 1500, molti studiosi anticipano questa data indicativa anche di un secolo. Era caratterizzato da un ampio vocabolario, formatosi dalla confluenza, nel latino, di parole provenienti da altre lingue, come la Vulgata che ha una stretta correlazione con il greco e l’ebraico. «Questo lessico modificava non solo il vocabolario, ma anche la grammatica e la sintassi. Inoltre, tutti gli indizi convergono su un preciso periodo storico, che possiamo indicare compreso tra il XV e il XVI secolo. Nel casale il mobilio e molti accessori sono di quel periodo. Sappiamo dalla signora Borghi, che ho personalmente interrogato, che Camponeschi si vantava di avere antenati antichissimi e di discendere da una nobile famiglia, da cui sembra abbia ereditato anche il casale e gli arredi. «Nella cantina della casa abbiamo trovato bottiglie di vino, che ho scoperto essere anch’esse del 1500. Mia moglie Emma, che insegna anche Storia del Rinascimento, ieri sera mi ha fornito utili informazioni sul Papa, il cui nome è presente sulle etichette degli antichi vetri in questione. Il vino presente all’interno viene da un famoso vitigno dell’appennino abruzzese. Il “Gaglioppo” è un antico nettare, coltivato per scopi religiosi, dalle suore di un monastero, nella zona di Teramo. Paolo IV, il papa in questione, il cui nome civile era Gian Piero Carafa, pare ricevesse il vino direttamente dalle monache suddette. «È stato uno dei principali e più accaniti inquisitori degli ebrei romani e non e nel 1542 riuscì a ottenere da Paolo III l’istituzione della Congregazione della sacra romana e universale Inquisizione. Forse la più importante della storia della Chiesa. Tutto questo preambolo, per arrivare a darvi l’informazione più importante per l’indagine: Camponeschi era il cognome della madre di Paolo IV e la donna nacque proprio in Abruzzo vicino al monastero.» Un breve mormorio si alzò tra i presenti, a cui fece eco il commento generoso della Marini: «Questo è molto interessante, dottor Ferrari!» «Grazie ispettore, ma il merito va a mia moglie e alla sua conoscenza della storia rinascimentale.» «Abbiamo anche un probabile avvistamento del sospettato del primo delitto. La vicina avrebbe visto un uomo, vestito da postino, introdursi con uno scooter giallo all’interno della proprietà della vittima. Ho incaricato Alessia di visionare, insieme a Nardi, i video del traffico per individuarlo e sempre ieri ho chiesto ai carabinieri di Cona di inviarmi i filmati all’ingresso della caserma, ritenendo possibile che il postino, o presunto tale, visto dalla vicina, possa aver anche consegnato personalmente la lettera ai militari. «Concludendo, anche se per il momento abbiamo solo verificato le dinamiche del primo, entrambi gli omicidi sembrano seguire un iter analogo, riconducibile alle pratiche brutali, alle torture e alle uccisioni del periodo inquisitorio. «Il padre torturato, bollito con l’olio e quindi strangolato e il figlio impalato in un hotel del centro, sembrano confermare questa ipotesi. In conclusione, un pericoloso assassino psicopatico, o forse due, come riterrei probabile nel secondo caso. La difficoltà di erigere un uomo del peso di Carlo e infilarlo nelle due lance laterali la spalliera del letto, presuppone l’azione congiunta e coordinata di almeno due individui. Questo o questi criminali si stanno muovendo e uccidendo liberamente in città, indisturbati. Hanno colpito, almeno fino a ora, in particolar modo, solo la famiglia della prima vittima.» L’ingegner Guzzini intervenne a questo punto, evidenziando l’importanza del controllo dei dati appena da me rivelati e la necessità di determinare l’esatta genia della famiglia papale.
Ufficio Squadra Anticrimine (Fe)
Ore 08:30 venerdì 16 maggio 2014
«Dottore, è fatta, è nostro, finalmente, abbiamo nome cognome e indirizzo!» Ero appena entrato in ufficio quando la Marini mi aggredì verbalmente con la buona notizia: «L’ufficio postale di Cona, ieri, ci aveva fatto pervenire la lista dei portalettere, con le rispettive zone di consegna nei giorni richiesti e con quella, incrociando i dati, abbiamo trovato una sicura corrispondenza con un dipendente, come lei dottore aveva ipotizzato. Effettua, abitualmente, il suo giro di consegne nella zona di Cona e Quartesana. Alle 10:03 del mattino di sabato 10 maggio, le telecamere lo inquadrano, davanti alla caserma, mentre imbucava, nell’apposita cassetta della posta, al cancello d’ingresso della stazione, una lettera, che non risulta essere in nessun elenco di consegna. La telecamera, poi, continua a riprenderlo mentre riparte in sella a uno scooter giallo, come segnalato dalla signora Bolchi. È stato anche confermato dall’ufficio postale che il giorno prima, venerdì 9 maggio, non era in programma nessun passaggio e nessuna consegna all’indirizzo di via Selva a Quartesana. Corrisponde tutto: lettera ai carabinieri, scooter giallo, divisa da postino. Fortunatamente, si vede benissimo il volto. Siamo potuti risalire così all’identità del sospetto. Si chiama Alberto Maggi, abita a Cona in via Umberto Sisti al n. 15. È assunto da cinque anni alle poste e anche per questo abbiamo potuto verificare, senza ombra di dubbio, la sua identità.» Concluse Alessia. «Bel lavoro, tutti e due, grazie! Nardi, raduni subito la squadra. Marini, chieda il mandato al giudice Farnesi, appena arriva io e l’ispettore partiamo subito per Cona.» L’attesa non fu lunghissima, ma come sempre, la burocrazia fa perdere tempo prezioso, un tempo che non avevamo a disposizione. Era necessario velocizzare l’arresto di questo losco individuo, prima che i suoi complici, e magari lui stesso, commettessero altri omicidi! Non appena il mandato fu in nostro possesso salimmo velocemente sulle due auto di servizio. Purtroppo, era già trascorsa un’ora e mezza prima di avere avuto l’autorizzazione alla perquisizione e all’arresto del nostro sospettato. Il nome Maggi Alberto, scritto a mano, sul campanello indicava che l’indirizzo era quello giusto. Provai, senza nutrire molte speranze, a suonare più volte. Non rispose nessuno, come del resto si poteva prevedere. Avevamo già stabilito, con la mia squadra, il da farsi. Durante il briefing avevamo concordato le azioni ed eventuali cambiamenti operativi in corso d’opera. Ci guardammo negli occhi, al segnale convenuto, con un gesto veloce, Salvatori fece esplodere tutta la potenza dell’ariete sfonda porte. Salimmo rapidamente al primo piano, dove abitava il nostro sospettato. Anche in questo caso, una grossa porta di legno massello non oppose resistenza. Entrammo, gridai forte e chiaro. «Polizia criminale, faccia a terra.» Un’intimazione inutile, che si perse nel silenzio più assordante di una casa presumibilmente vuota. Forse il signor Maggi aveva previsto il nostro arrivo e che avremmo scoperto la sua identità o forse qualcuno lo aveva avvertito in tempo, dandogli modo di fuggire. Entrambe le ipotesi erano possibili, nessuna delle due portava vantaggio alla mia indagine. Il blitz non era riuscito e trovarlo, adesso, diventava difficile, molto difficile. Entrai in quello che sembrava essere uno studio. Una scrivania con la sua classica lampada a corredo, la solita libreria colma di tomi vari alle spalle, le due sedie in similpelle di colore verde e di fronte la poltrona padronale, più alta, quella più importante, girevole e questa volta di pelle vera. «Cucina e bagno vuoti, non c’è nessuno, dottore.» La voce di Chiusi risuonò nella stanza. Mi avvicinai allo scrittoio e notai che dal portadocumenti di pelle marrone, sul tavolo, uscivano lembi di fogli ingialliti dal tempo. Alzai il sottomano e trovai due manoscritti visibilmente molto antichi. Mi sedetti per leggere quei documenti e fu allora che notai, alla mia destra, il cestino dei rifiuti, che prima non avevo visto perché coperto dai cassetti della scrivania. Riconobbi subito, all’interno, i cocci delle vecchie bottiglie rubate a Camponeschi. Le etichette papali e lo spesso vetro verde scuro mi confermarono la prima impressione e mi fecero pensare, immediatamente, che i due fogli, davanti a me, fossero stati precedentemente disposti e arrotolati dentro di esse. Mi sedetti sulla comoda poltrona in pelle e cominciai a leggere il primo:
In Chrìsti nomine amen. Anno nativitatis eiusdem 1560 in ditione 12, die 14 Mai. Questo sia un contracto facto per lo svolto accordarsi tra illustrissimo duca di Este magno Alfonso Secundo signore della urbe de Ferrara da Anno 1559 et incontra felicie illustrissimo dotto medicio e colto de science et genio Michel de Nostredame signate at presente Nostradamus. In p.o. Loro illustrissimi a concordare in mano del Maggi Vincenzo, protonotario et scrivano substituto a testimonio. Si va at concordo di somme decise a pagare illustrissimo duca Alfonso Secundo di Este in millem ducati at illustrissimo Nostradamus at debito medicio. Et qual pegno premonizio e demerita volgio dare il sottodetto scrittomano.
Il secondo foglio iniziava così:
Et quale testimonio intendendo le cose sopradette et sapendo quelle essere volontade degli illustrissimi presenti confermo e pilgio a seguire firmando.
Quindi a capoverso, in fila, i nomi dei firmatari del documento: Maggi Vincenzo, Alfonso II d’Este e Nostradamus. Nessuna firma, però, suggellava il manoscritto e nessun timbro in ceralacca, sempre in uso su tutti i documenti importanti nel periodo indicato all’inizio del foglio. Il timbro autenticava lo scritto tra le parti. Questo mi fece pensare a una copia che precedeva l’originale, che sarebbe poi stato validato da firme e timbri vari, come si usava fare in quel periodo storico. La cosa più strana era la mancanza del secondo foglio che faceva riferimento, almeno sembrava, a un manoscritto in possesso del duca d’Este, usato come pagamento per una premonizione di Nostradamus, oltre al gesto di amicizia e ai mille scudi indicati nel primo foglio. Il ritrovamento, nel cestino, di tre bottiglie rotte, quelle che erano state rubate nella cantina del Casale, era un fatto molto strano. Una di queste poteva essere vuota, visto il numero dei fogli. Il foglio centrale mancante potrebbe essere in possesso del fuggitivo o di nessuno o di qualcuno che ha interesse a nasconderlo, forse per sempre. L’ultima considerazione che mi colpì, forse anche la più ovvia da farsi, fu che Maggi era il cognome del notaio nel 1500 e anche quello del sospettato del 2014! Il collegamento era evidente, una chiara discendenza univa i due uomini, forse, anche, con un identico scopo in comune. Era già la seconda volta, in queste indagini, che mi trovavo a tu per tu con questa coincidenza genealogica. Cognomi che ritornavano dal passato, che a volte appartenevano alla storia di questa città e che avevano stretti legami con personaggi importanti. Emma, con la sua cultura umanistica, poteva sicuramente aiutarmi a risolvere alcuni di questi enigmi, ma giunti a questo punto serviva anche la competenza di uno storico della città di Ferrara e di un altro esperto del periodo rinascimentale. Molto meglio se fosse stata la stessa persona. Il cellulare, nella tasca della mia giacca, suonò ripetutamente, il meraviglioso pezzo di sax di One Year of Love dei Queen, uno dei miei gruppi preferiti. «Ancora quella suoneria?» Commentò Nardi, visibilmente sorpreso dalle mie remote, ma costanti, preferenze musicali. Non lo degnai di una risposta, non la meritava, feci un gesto col pollice in alto a significare «numeri uno, per sempre,» poi estrassi il telefono. «Mi dica, Alessia.» «È andato tutto bene, lì?» Domandò preoccupata. «Il nostro uomo è uccello di bosco, come si usa dire. In casa abbiamo trovato solo due vecchi documenti. Manca il foglio centrale. Organizzi tutti i posti di blocco, come sempre da e per Ferrara, la via Comacchio e per Ravenna. Non ci deve sfuggire. Un'ultima cosa, per favore, ha contattato l’esperto che le avevo richiesto?» «Sì, in realtà avevo telefonato per quello, domani mattina la aspetta in ufficio. Si chiama Samuele Lombardi. Professore universitario a Padova. Si tratta di uno dei massimi esperti del rinascimento e di quello ferrarese in particolare. Meglio non potevo trovare, mi creda!» «A che ora arriverà?» «Alle 11:30, appena si libererà dalle lezioni.» «Ok, ci vediamo in ufficio domattina.» Chiusi la comunicazione e mi rivolsi ai miei uomini: «Infilatevi guanti e soprascarpe e iniziamo a cercare guardando ovunque, dobbiamo trovare qualche indizio che ci porti a catturare il nostro uomo, il più presto possibile, prima che faccia altri danni.» «Nardi, ha contattato la scientifica per le impronte digitali?» «Sì, dottore, già fatto!» «Sbrighiamoci a finire, non vedo l’ora di andarmene da qui,» replicai, insoddisfatto di com’era andata l’irruzione a casa Maggi.
Appartamento in via Arianuova (Fe)
Ore 09:30 sabato 17 maggio 2014
Due lunghe notifiche, alla terza, lentamente, l’uomo sfiorò lo schermo del cellulare. Una voce cominciò a parlare, con un tono più basso del normale, come non volesse farsi sentire da nessun altro. «Hai già fatto colazione? Cosa stai facendo di bello?» «Niente di particolare, le solite cose, tu piuttosto cos’hai da dirmi? È andato tutto bene?» «Tutto secondo i piani, hanno trovato i due fogli e adesso si stanno chiedendo cosa c’è nel mezzo,» rispose la voce. L’uomo continuò sorridendo: «Questo è quello che devono fare, al più presto. Il nostro Sherlock Holmes non ci metterà molto a scoprire dove cercare e lo farà per noi. Non possiamo permettere a nessuno di fermarci. Siamo così vicini ad avere la nostra giustizia e a far conoscere la verità, quella che fa male, quella che li distruggerà una volta per tutte.» «Alberto è al sicuro, per ora. L’accordo è di aspettare nascosto, fino a quando le acque non si calmeranno. Hanno messo posti di blocco ovunque, meglio non muoversi per il momento,» replicò con tono fermo la voce misteriosa. «Presto mi devo vedere con chi sai tu, è lui che deciderà cosa sia meglio fare. Non appena ho qualche novità ti farò sapere, nel frattempo segui l’andamento delle indagini. Dobbiamo sapere quando e se intervenire.» L’uomo concluse con queste ultime parole, chiudendo definitivamente il contatto telefonico.
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